La vocazione indecente (Osea 1,2-3)

La vocazione indecente (Osea 1,2-3)

Quando il Signore cominciò a parlare a Osea, gli disse:
"Va', prenditi in moglie una prostituta,
genera figli di prostituzione,
poiché il paese non fa che prostituirsi
allontanandosi dal Signore" (Osea 1,2).

Nella vasta gamma delle missioni, che ci si aspetterebbe di ricevere da Dio, nessuno aveva mai pensato a questa: «prenditi in moglie una prostituta».

Non dobbiamo pensare a una escort di lusso. Non si tratta di un’accompagnatrice con la quale si può amabilmente conversare a colazione, visitare una galleria d’arte contemporanea nel pomeriggio e poi trastullarsi durante le ore notturne.

Una prostituta che si espone, per convincerti a stare con lei. A pagamento. Una di quelle che sta per strada. In certe strade.

Una che guarda il passante come potenziale cliente, soltanto da spremere. Una donna senza scrupoli, che fa finta di godere di te, ma vuole soltanto il tuo denaro. E inventa ogni stratagemma per mostrarsi, per catturare il tuo sguardo, fino all’ultimo spicciolo.

Certamente una missione imbarazzante per un uomo di Dio.

San Girolamo (347-420 d.C.), che tradusse tutta la Bibbia dall’ebraico e dal greco in latino, non ci poteva passare. «Osea, primo fra tutti i profeti, riceve l’ordine di sposare una meretrice e non si rifiuta?».

Osea non finge nemmeno di obbedire contro voglia a un comando indecente di Dio. Ci si fionda tutto contento, come se fosse il suo segreto inconfessabile da una vita.

Quando Dio chiama Mosè e lo manda in Egitto a liberare il suo popolo, egli declina gentilmente l’invito.

«Ecco, non mi crederanno, non daranno ascolto alla mia voce, ma diranno: "Non ti è apparso il Signore» (Es 4,1).

E allora il Signore gli consegna due segni prodigiosi. Non uno, ma due. Dio esagera sempre. Così, qualora non credessero al primo, certamente si convincerebbero con il secondo.

Ma Mosè si tira ancora indietro: «Perdona, Signore, io non sono un buon parlatore; non lo sono stato né ieri né ieri l'altro e neppure da quando tu hai cominciato a parlare al tuo servo, ma sono impacciato di bocca e di lingua» (Es 4,10). Il prescelto era balbuziente.

E allora l’Altissimo insiste, risentito. Del resto, colui che ha dato la bocca all’uomo, non può rendergli una lingua sciolta? Sarà Dio stesso a parlare attraverso Mosè. Sarà sua premura insegnargli ogni volta le parole giuste.

«Signore, non puoi mandare qualcun altro?». Allora si scatena l’ira di Dio, al quale ogni tanto facciamo perdere le staffe. E Mosè parte per l’Egitto, più per paura che per convinzione.

Così, pure Geremia come un bamboccione tenta di sottrarsi alla missione, con la scusa di essere troppo giovane. E così tanti altri.

«Osea, invece, di fronte all’ordine di prendere una prostituta in moglie, non corruga la fronte, non attesta la propria afflizione con il pallore, non dimostra la sua vergogna con il rossore delle guance, ma si dirige verso un bordello e conduce una sgualdrina nel suo letto. E non le insegna a serbare lo stesso sentimento di pudore di una matrona ma si rivela un lussurioso e uno scialacquatore. Chi infatti si congiunge con una meretrice forma un solo corpo con lei» (Girolamo).

Li capisco Mosè e Geremia. La “chiamata” di Dio è sempre bella, quando riguarda altri. Me lo confidò il mio caro nonno, che ogni sera diceva il rosario, pregando con nonna per le “tante e sante vocazioni”. Ma rimase un po’ interdetto quando apprese la mia decisione di farmi prete. Evidentemente, avrebbe desiderato che mi sposassi per generare almeno un nipotino maschio. Unico a proseguire il cognome della sua famiglia. «Io pregavo per la vocazione degli altri. Mica per la tua», mi disse. E con il suo solito fare, concluse il ragionamento in un sorriso.

Dalla Bibbia ho imparato che Dio non chiama i migliori e, forse, neppure i peggiori. Dio chiama tutti. A ciascuno la sua missione. E ho imparato che si fida tanto. Ti può chiedere qualsiasi cosa. Sempre missioni straordinarie, quasi impossibili. Non ti senti mai all’altezza del suo progetto. Ed è questa la resistenza più grande. Poi la paura, l’egoismo, la nostalgia per il vecchio, il desiderio del comodo, poi lo stupore. L’intuizione che non mancheranno segni, che troverai le parole, che non sarai solo, che sarai felice.

Papa Francesco ha più volte paragonato la Chiesa a un “ospedale da campo”, sottolineandone l’azione spregiudicata, più della perfezione.

Se ti rifugi solo nella disciplina, se stai attaccato esageratamente alla “sicurezza” dottrinale, se rimani aggrappato al passato rassicurante, non parti mai. E la fede diventa un’ideologia tra le tante.

Dio ti mette davanti una strada inedita? Sarai il primo. Ti affida una missione stravagante? Non ti annoierai. Sarai all’altezza? Lui crede di sì, altrimenti avrebbe chiesto a un altro.

«Anche se la vita di una persona è stata un disastro, se è distrutta dai vizi, dalla droga o da qualunque altra cosa, Dio è nella sua vita. Lo si può e lo si deve cercare in ogni vita umana. Anche se la vita di una persona è un terreno pieno di spine ed erbacce, c’è sempre uno spazio in cui il seme buono può crescere. Bisogna fidarsi di Dio». (Francesco) 

Cos’è la fede, se non intuire che ce la puoi fare? Lo stupore di incontrare un Signore che ti conosce fino in fondo e continua a credere in te, chiamandoti a cose meravigliose.

Una volta l’ho scoperto. E mi sorprende ogni giorno. E da quella volta provo a seguire la mia “vocazione indecente”. Come Osea.

Egli andò a prendere Gomer, figlia di Diblàim: ella concepì e gli partorì un figlio (Osea 1,3).

Va subito a sposarsi con una prostituta. E ci fa pure un figlio!

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