La fragilità preziosa

La fragilità preziosa

Avevano chiesto a Gesù quale fosse il comandamento più importante. Glielo aveva chiesto un esperto della Legge. Un uomo giusto e sincero, desideroso di fare il bene. Uno che fin da ragazzo si era abituato a fare la volontà di Dio, secondo il catechismo del suo tempo.

Ma Gesù lo avverte subito: manca ancora qualcosa. Se stai a domandarti qual è il comandamento più grande, ancora qualcosa ti manca per poter entrare nella logica di Dio. E la domanda rimane sospesa, come un desiderio da realizzare. Mentre pensavo di stare a posto così, cosa manca ancora?

Poi il Maestro riprende ad insegnare, forse ancora distratto dal desiderio di chi vorrebbe compiere quel passo in più, per entrare nel regno dei cieli: «Non cercate questa novità nella buona reputazione, nel dire le preghiere, nel far del bene quando si può e nello stare in pace con tutti.

«Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti».

Poi l’attenzione del Signore cade su coloro che si affollavano a gettare monete nel tesoro del tempio.

«Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo». Praticamente un niente, che davanti a Dio vale più di tutti gli altri.

«Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

Non si dà tanto un giudizio malevolo nei confronti di coloro che facevano rimbombare il loro abbondante superfluo, gettato nel tesoro del tempio, ma si esalta quel niente offerto dalla vedova povera. Che vale più di tutto il resto.

Avrebbe potuto trattenere quei pochi spiccioli per se stessa, tanto non avrebbero aggiunto granché alla gloria di Dio. Eppure dona tutto quello che ha: la sua fame, la sua povertà, la sua vergogna, il suo niente. Quello che mancava al saggio e devoto scriba, quello che mancava a tutti gli altri. La sua povertà.

Ha ricordato il Papa, in occasione della terza Giornata mondiale dei Poveri: «È tempo invece che ai poveri sia restituita la parola, perché per troppo tempo le loro richieste sono rimaste inascoltate».

Raramente i poveri intervengono nelle nostre assemblee e nelle riunioni. Ancora meno intervengono per dare consigli o esprimere opinioni. Loro, i poveri, devono stare ad ascoltare, a imparare come vivere e come comportarsi, perché da soli non sono in grado di provvedere a se stessi. Hanno bisogno dell’assistenza e quindi devono sottoporsi al giudizio di coloro che passeggiano in lunghe vesti, ricevono i saluti e ambiscono ai primi posti. Eppure di essi, dei poveri è il regno dei cieli.

Adesso che siamo chiamati nella Chiesa a vivere il tempo della narrazione, cosa decideremo di raccontarci? I buoni propositi, le buone prassi, le giuste soluzioni? Cosa racconteremo della Chiesa al mondo? Continueremo ad allungare l’elenco delle attività da mantenere o eliminare o semplicemente aggiornare? A pretendere nuovi spazi di azione e di potere? Persevereremo nel domandare quale nuova categoria istruire e da quale comandamento incominciare?

A me piacerebbe che cominciassimo a narrare di quella donna povera, che è la Chiesa, davanti al tesoro della Misericordia del Padre. Della nostra miseria e del nostro niente. Della fragilità e del peccato. Degli scandali e dei fallimenti. Del non farcela. Del non comprendere. Dei ritardi. Della vergogna. Di quei due spiccioli inutili e disdicevoli, ma tanto graditi a Dio, come passo necessario, quella novità ulteriore, che introduce nel regno dei cieli.

Si narra che «Mentre Girolamo si arrovellava il cervello [su cosa ancora mancasse alla sua vita cristiana], notò all’improvviso un crocifisso che era comparso tra i rami secchi di un albero. Girolamo si gettò a terra e si percosse il petto con gesto solenne e vigoroso. Subito Gesù rompe il silenzio e si rivolge a Girolamo dall’alto della croce: “Girolamo – gli dice – cos’hai da darmi? Cosa riceverò da te?”. Girolamo non esita un attimo. Certo che aveva un sacco di cose da offrire a Gesù». E comincia ad elencare le sue opere: i digiuni, le veglie, la lunga recita dei salmi, lo studio assiduo della Bibbia, il celibato, la mancanza di comodità, la povertà…

«Ad ogni offerta, Gesù si complimenta e lo ringrazia. Lo sapeva da tempo: Girolamo ci tiene così tanto a fare del suo meglio! Ma ad ogni offerta, Gesù, con un sorriso astuto sulle labbra, lo incalza ancora e gli chiede: “Girolamo, hai qualcos’altro da darmi?”. Alla fine, dopo che Girolamo ha enumerato tutte le cose buone che ricorda e siccome Gesù gli pone per l’ennesima volta la stessa domanda, un po’ scoraggiato e non sapendo più a che santo votarsi, finisce per balbettare: “Signore, ti ho dato già tutto, non mi resta davvero più niente!”. Allora un grande silenzio piomba nella grotta e fino alle estremità del deserto di Giuda; Gesù replica un’ultima volta: “Eppure Girolamo hai dimenticato una cosa: dammi anche i tuoi peccati affinché possa perdonarteli”».

Per camminare insieme nel regno dei cieli, come peccatori amati. Come niente davanti al Tutto.

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