L’attesa di che?

L’attesa di che?

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!» (Marco 13, 33-37).

Fate attenzione e vegliate! Sono le parole che caratterizzano l’ultimo discorso di Gesù, secondo l’evangelista Marco. Fate attenzione e vegliate! È l’atteggiamento fondamentale dei discepoli del Signore, ciò che dovrebbe caratterizzare la vita e la testimonianza delle nostre parrocchie. I discepoli erano preoccupati della fine del mondo. I primi cristiani avevano la sensazione che tutto finisse con le persecuzioni.

E Gesù chiede ai suoi amici di stare svegli e con gli occhi aperti sul mondo. Di non tirarsi fuori da nessuna questione, di non rifiutare nessuna domanda, di non escludere nessuna persona. Credo che papa Francesco intenda richiamarci a questo atteggiamento quando ci invita ad essere una Chiesa “in uscita”. Scriveva don Lorenzo Milani negli anni ‘60: “Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande: I CARE. È il motto intraducibile dei giovani americani migliori. Me ne importa, mi sta a cuore”.

Mi rendo conto che oggi “saper attendere” non è considerata cosa piacevole. Come anche il “rimanere svegli” lo associamo più alla fastidiosa insonnia che alla ricerca della felicità. Eppure esiste l’esperienza delle attese piene di desiderio e non solo di noia: l’attesa di un amico, partire per un bel viaggio, l’innamorata che è in ritardo. E così tante veglie gioiose, come quando si rimane in piedi ad aspettare il compleanno di qualcuno per essere i primi a mandare gli auguri.

Vegliate sempre! Insiste Gesù. “Perché non sapete quando è il momento”. È il comando di essere cristiani sempre e ovunque. E non a intermittenza o per convenienza. Non solo cristiani alla domenica e dentro le chiese, ma anche dal lunedì al sabato e in ogni ambiente di vita. Non possiamo essere cristiani addormentati, quelli da poltrona e pantofole.

Perché questa urgenza e questa sollecitudine? Non per paura. Sono finiti i tempi delle predicazioni del “ricordati che devi morire”. Anche se, ogni tanto, faremmo bene a ricordare anche questo. Ma noi non siamo cristiani per paura o per rassegnazione: dobbiamo essere attenti e ben svegli perché passa il Signore nella nostra vita e potremmo essere distratti da altro. La mattina, al pomeriggio, alla sera o di notte il Padre semina i suoi doni e noi rischiamo di essere ripiegati sulle nostre lamentele. Si avvicina la possibilità di essere finalmente felice e io sto a guardare da un’altra parte. Arriva il povero da accogliere e io, distratto dal mio egoismo, non riconosco in lui il volto di Gesù che viene, e rimango triste nella solitudine e soffocato dalla mia indifferenza.

Infine, siamo invitati ad accogliere anche la responsabilità di questa attesa vigilante e operosa. Abbiamo la responsabilità di mostrare al mondo la bellezza del Vangelo, la possibilità di essere realmente felici oggi, attraverso la nostra testimonianza, stili di vita diversi, logiche nuove, scelte profetiche. La responsabilità di coinvolgere anche altri, non insegnando loro come devono vivere, ma mostrando quanto è bello vivere secondo l’insegnamento del Vangelo.

Questo vale solo per noi cristiani o anche per tutti gli altri? Lo dico a tutti, risponde Gesù. Questa possibilità di vivere davvero e di vivere felici è per tutti! Per tutti quelli che saranno attenti e non addormentati.

Ma attendere cosa?

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