In ogni mare e con qualsiasi tempo

In ogni mare e con qualsiasi tempo

Mi ha sorpreso il Vangelo di questa mattina: la bella notizia di un fallimento. O forse no. Perché ormai con Gesù non si può essere sicuri di nulla, tanto riesce a sconvolgere consuetudini e preconcetti. Così si narra di Pietro, Tommaso, Natanaele, Giacomo, Giovanni e altri due, i quali, dopo l’isterica esultanza di Pasqua, tornano alla vita consueta di pescatori. Un po’ come noi preti, rianimati da tanta solennità e partecipazione nei giorni di Festa, torniamo alla consuetudine dei desideri e dei progetti tanto santi quanto improbabili.

Tutto si ricompone, solennità e feria, esultanza e fatica, desideri e realtà: “quella notte non presero nulla”, appunto. Il fallimento, almeno apparentemente.

La fatica di tutta una notte senza prendere nulla, diventa l’immagine più efficace e disarmante della mia vita, oggi. Energia, desideri, iniziative, tentativi, successi, popolarità, strategie, incontri, proposte, prediche e preghiere, che alla luce del mattino si mostrano un armonico “nulla”. Come lo sbattimento mattutino, frutto della sbornia notturna. Che sia il “pescare” riferito alla propria vita oppure all’agire ecclesiale, poco cambia. Le reti sono vuote. La fatica sprecata. Il desiderio frustrato. Non sarei onesto a negare questa esperienza di vuoto, dentro e attorno a me, che spesso assume i toni sfumati della normalità.

L’incontro con Gesù, sempre nella messa del mattino, mi interroga: quindi non hai preso nulla? Nessun frutto? Nessuna soddisfazione duratura? E la risposta, simile agli apostoli: “No”. E la conseguente proposta inaudita: riprendere il largo, ritentare la pesca, tornare a vivere.

Le resistenze continuano a mormorare nel cuore. “Ma ancora chiedi a me di essere pescatore, dopo tutti questi fallimenti? E poi in questo stesso mare infecondo? Ormai a tempo scaduto, dopo averle provate tutte e con tutti? Ma non sarà meglio rivolgersi ad altri? Ma non sarà meglio smettere di sperare?”. Pure il Vangelo sembra improponibile, inefficace, inutile. Mi viene da pensare che neanche il Signore conosca bene il mestiere: pescatori incapaci, mare infecondo, tempo sbagliato, tecnica inappropriata, credibilità perduta.

«Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!».

E anche il mio dubbio si scioglie in questa esclamazione: Sei il Signore, il mio Signore! E tutto ritrova senso. E il fallimento non era la pesca fallita e la speranza improbabile. Ma la mia incapacità di riconoscere Gesù lungo le sponde della mia fragilità e del mio dolore. La miopia di non riconoscerlo anche dentro la normalità. L’equivoco di pensare al Vangelo come a un fantasma, invece di attribuirgli l’unica concretezza possibile della storia. Quella concretezza che è l’Eucaristia, ogni giorno.

Forse anche io ho paura di chiederti “Chi sei?”, come gli apostoli a conclusione dell’incontro: capire fino a che punto vuoi spingermi in alto mare, oltre gli apparenti confini della mia libertà. Forse i due discepoli senza nome, mi chiamano in causa e mi provocano a una risposta rapida e decisiva.

E sono pronto a gettare ancora le reti, in ogni mare e con qualsiasi tempo. Mai più solo.

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